Playoff NBA: Il punto sulle Finals

Dopo le prime 4 gare possiamo a conti i fatti dire che è successo di tutto ma non è successo niente: il fattore campo dei Lakers è rimasto, la serie in equilibrio anche, così come i problemi che le rispettive squadre avevano anche prima di affacciarsi all’ultimo atto dei Playoff 2010.

In casa Los Angeles Lakers, il problema principale è ancora rappresentato dalle precarie condizioni fisiche di Andrew Bynum: il centro uscito da Saint Joseph ha dimostrato quanto possa essere dominante, non solo in prestazione singola (con i 21 punti e le 7 stoppate di gara 2), ma anche e soprattutto nelle dinamiche offensive di squadra. Con Bynum che occupa spazio dentro l’area, Garnett è costretto a marcare Gasol, che più volte è stato in grado di metterlo in difficoltà in maniera alquanto evidente: inoltre, la duttilità offensiva dello spagnolo lo porta a spostarsi anche lontano da canestro per tirare dalla media e portare fuori il marcatore dal pitturato. Chiaro quindi che avere Bynum sotto possa garantire una maggiore dinamicità e variabilità all’attacco di LA ed una presenza costante a rimbalzo in attacco, sia in virtù degli spostamenti perimetrali del collega di reparto Pau Gasol, sia per attirare i marcatori e concedere ai compagni più libertà.
In gara 4, impietoso è stato il confronto a rimbalzo in attacco, con Boston che ha doppiato (16-8) Los Angeles, tirando ben 12 volte in più sfruttando la seconda opportunità: Glen Davis ha chiuso con 4 rimbalzi in attacco in 22 minuti, segno che è bastato aumentare l’intensità fisica sotto canestro per riuscire a prevalere contro una difesa gialloviola ancora in attesa del rendimento di Lamar Odom.

Parlando strettamente di posizione difensiva (poi il rimbalzo non si sa mai dove vada a finire..), in quest’immagine possiamo vedere chiaramente come manchi Bynum là sotto (Gasol per altro segnerà il tiro). I Celtics sono in 4 pronti al movimento difensivo: Garnett esce su Gasol che tira, Allen scala su Lamar Odom (che parte in ogni caso in posizione vantaggiosa), Perkins dopo essere uscito su Artest è già voltato verso il proprio canestro e Rondo all’occorrenza può tagliare fuori l’ala piccola di LA.

Ancora più evidente questa seconda immagine: Kobe sta per forzare uno step back per il tiro da tre (che realizzerà in maniera per altro meravigliosa): nessuna maglia gialloviola nel pitturato e 4 maglie Celtics: Wallace, Pierce, Rondo e Glen Davis sono tutti già in chiaro vantaggio sui rispettivi rivali. Bene per Los Angeles dunque che i raggi X a cui si è sottoposto Bynum non abbiano rivelato un aggravarsi dell’infortunio al ginocchio che ne ha condizionato il rendimento.  Vedremo che apporto riuscirà a dare in gara 5 domenica notte.

Kobe Bryant dopo gara 4 ha dichiarato di “essere stato un disastro” e di quanto sia inammissibile per un giocatore della sua importanza perdere addirittura 7 palloni, molti dei quali in maniera piuttosto banale. Il rendimento  offensivo dell’MVP delle Finals 2009 fa registrare 28,25 punti di media, tirando però mai sopra il 50%: l’efficacia realizzativa del 24 è inficiata dalla mancanza nei Lakers di un terzo realizzatore credibile e costante. Con Artest che vive di alti e bassi e che dopo gara 1 (15 punti) non è mai riuscito ad andare in doppia cifra (2 punti in gara 3 e 1-10 in gara 2), con Odom che sembra mentalmente totalmente assente da questa serie, con i problemi di Bynum e con l’età di Fisher, Los Angeles è costretta a spremere Bryant e Gasol, con il risultato di vedere abbassate le percentuali del primo, costretto spesso a prendersi tiri ad alto coefficiente di difficoltà.

Per contro, Pau Gasol continua a confermare l’ottima forma di questi playoff 2010: probabilmente non sarà mai un giocatore travolgente per intensità fisica e carisma, però la sua duttilità tecnico-tattica ha portato ottimi risultati all’attacco di LA. Se nel precedente del 2008, Gasol era stato sconfitto nel confronto diretto con Kevin Garnett, non riuscendo mai a superare quota 20 punti, quest’anno soltanto in gara 3 si è tenuto sotto quella fatidica linea immaginaria: il Garnett super lusso di gara 3 ha solo parzialmente ridato lustro ad una serie in cui è Pau Gasol ad aver fatto la voce più grossa.

Chiudiamo il capitolo LA con la panchina e i comprimari: Derek Fisher, intramontabile, ha dimostrato una volta di più il perchè Phil Jackson e Kobe Bryant lo tengono in così grande considerazione. Kobe ha dichiarato che Fisher è l’unico cui lui dà ascolto quando gli viene detto di tirare di meno e di non forzare, Phil-Zen ha spesso detto che Fisher è fondamentale per questi Lakers e il buon Derek sta reggendo minutaggi molto elevati riuscendo anche a lasciare il segno come in gara 3: Rondo (di cui parleremo tra poco) non sta dominando il confronto diretto come ci si poteva aspettare e tra le esclamazioni dei tifosi accaniti di Los Angeles, almeno questa volta, non vince quella “troviamoci un playmaker serio”, per ora. Odom è il vero “missing” di questa serie: sempre e costantemente fuori partita. La sua grande tecnica offensiva, che lo mette in grado di colpire in ogni modo e da ogni posizione fa sì che possa in ogni caso raggiungere la doppia cifra, ma l’intensità difensiva è pressochè assente: ha guardato inerme allo show di Glen Davis e il suo minutaggio globale nella serie (infortunio di Bynum in gara 4 a parte) è molto più basso rispetto alle previsioni, segno che anche Phil Jackson è alquanto scontento del rendimento del numero 7.

Sponda Boston Celtics, il problema maggiore è rappresentato dall’incostanza dei propri realizzatori: i tifosi bostoniani sono ancora in attesa di una prestazione ai suoi livelli da parte di Paul Pierce. The Truth soffre (anche se ha dichiarato il contrario) la marcatura di Ron Artest e se si eccettua la prestazione buona (seppur non trascendentale) di gara 4 con 19 punti (di cui 10 però nel solo primo quarto),  l’impatto che il Capitano ha nelle sorti delle partite di queste Finals è molto limitato (non ci si faccia ingannare dai punti di gara 1, ottenuti nella grande maggioranza nel Garbage time dell’ultimo quarto). Per contro, Ray Allen, se si eccettuano i 32 punti di gara 2, non è riuscito a far pagare ai Lakers il cambio difensivo Bryant-Rondo/Fisher-Allen, portando anche il playmaker numero 9 a soffrire in attacco e a non avere il rendimento elevatissimo mostrato contro Cleveland e Miami. Anche Kevin Garnett è tutto fuorchè costante: dopo aver sofferto Gasol per i primi due atti delle Finals, KG ha piazzato un 11-16 dal campo per 25 punti, tappando anche difensivamente le velleità dello spagnolo, dimostrando quindi di poter essere ancora un fattore in questa serie. Purtroppo anche per i Celtics la tenuta fisica non sembra essere delle migliori: non volendo entrare in polemiche sugli arbitraggi, sollevate da entrambe le parti, il grande numero di falli di gente come Pierce, Wallace e Garnett, sicuramente può essere imputato all’età e al declino, che porta i giocatori non più a loro agio come ai “bei tempi” nei movimenti difensivi per contenere avversari più atletici, più tonici, più giovani o semplicemente più Kobe Bryant (nel caso di Pierce e Ray Allen).

Possiamo parlare dell’incostanza Celtics anche in chiave positiva: ogni partita ha un leader diverso, segno che c’è sempre almeno una ruota del carro che gira a pieno regime e che è in grado di lasciare una firma significativa sulle sorti della serie. Viene dunque da chiedersi cosa mai potrebbe succedere se tutte e 4 le ruote principali girino contemporaneamente non dico ai massimi livelli ma quasi: Rondo-Allen in asse perfetto come in gara 2 possono fare male al già citato cambio difensivo Fisher-Bryant,  con la possibilità di scarichi a Pierce, di costruire lo schema per l’isolamento in post di Garnett o di lasciarlo aperto per il jumper dai 6 metri senza dimenticare la presenza sotto canestro di Perkins, che quando non è limitato dai falli riesce a tenere un rendimento costante limitatamente alle sue possibilità (7.75 ppg, tirando con il 55,6% dal campo) e al suo ruolo di “quinto”.

Parlando di panchina, tante note di merito vanno fatte a un Tony Allen positivo lungo tutto l’arco della stagione anche e soprattutto in virtù dell’impatto difensivo che riesce ad imprimere nell’uno contro uno con le stelle avversarie: perfino Mr. Kobe Bryant ha visto le sue percentuali calare  in gara 4 dopo la marcatura asfissiante di Tony Allen. “Ha fatto un ottimo lavoro” – la parola del 24 gialloviola – “ha giocato duro, è un grande rivale, un ottimo e solido difensore: ci divertiremo”.

Anche Nate Robinson e Glen Davis stanno recitando il loro ruolo alla grande: il piccolo playmaker scaricato da D’Antoni dimostra una volta di più l’importanza di avere realizzatori in rampa di lancio dalla panchina. Nessuno gli chiede di fare 40 punti a sera nè di forzare ogni conclusione, però se Doc Rivers riesce ad inserire Robinson in un contesto di scelte di tiro e di schemi offensivi che lo metta in condizione di realizzare 10 punti a sera, Boston avrà sicuramente un’arma in più, se consideriamo anche le non proprio antonomastiche attitudini difensive di Jordan Farmar e Shannon Brown, i dirimpettai in casa Lakers. Glen Davis è un giocatore di impatto fisico: può giocare bene o può giocare male, può segnare tanto o può segnare poco, però garantisce un impegno costante e una grande intensità, utilissima soprattutto a rimbalzo: 2,5 rimbalzi offensivi di media in circa 20 minuti di impiego sono un dato di grande rilevanza.

Infine, grande merito va anche a coach Doc Rivers, su cui negli anni passati spesso erano state sollevate perplessità e dubbi: ha dimostrato di saper gestire un gruppo con 3 stelle, di saper inserire negli schemi tutti i propri giocatori, di non andare in confusione nei momenti decisivi e di saper sempre cosa dire e come dirlo ai propri giocatori per metterli nelle condizioni di fare del loro meglio. Dal mio punto di vista, questa grande playoff-run dei Celtics dimostra una volta di più l’importanza di avere un allenatore che non sia protagonista, che sappia fare il suo senza voler strafare e che dia alla squadra un’impronta offensiva-difensiva, facendo sì che ogni volta che scendono in campo, sappiano sempre cosa devono provare a fare. Che poi riesca o meno alla perfezione è un altro discorso!

Domenica gara 5: pronostico Lakers vittoriosi al Garden, con Odom e Artest sopra la doppia cifra.

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