Albertini tuona: “Età della primavera abbassata a 19 anni”. Basterà? La crisi del calcio giovanile (e non) italiano

Se chiedete, ad un giocatore degli anni ’60-’70, cosa lo ha aiutato maggiormente a crescere per diventare un calciatore professionista, una buona parte vi risponderà: il campionato De Martino. Per chi non lo conoscesse, tale competizione era la vetrina, inizialmente solo per squadre di serie A, di calciatori scarsamente utilizzati e giovani promesse del vivaio che, giocando in un campionato vero, si preparavano al meglio per il grande salto in prima squadra.

In Italia tale competizione è stata definitivamente soppressa nel 1976; all’estero invece, in Spagna, Inghilterra e Germania ad esempio, seppur con modalità differenti, esiste tutt’oggi un campionato esclusivo per le squadre riserve, una “squadra B”, un anello di congiunzione tra il campionato primavera e la prima squadra. Per sottolineare ancor di più l’importanza dell’esistenza di una campionato riserve, pensate che prima di allenare il Barcellona, Guardiola ha allenato la squadra B, composta dai vari Busquets e Pedro, che oggi sono titolari in prima squadra. La stessa dirigenza blaugrana ha già l’erede di Guardiola, in caso di partenza del tecnico pluricampione di Spagna: Luis Enrique, bandiera del Barça, ed attuale allenatore del Barcellona B.

Hanno fatto molto rumore le dichiarazioni di ieri di Demetrio Albertini, vicepresidente della FIGC:
“Abbasseremo l’età della primavera da 21 a 19 anni e, successivamente, continueremo a portare avanti il progetto della rappresentativa giovanile di serie B. In questo modo potremo avere 30 giocatori convocabili per la nazionale Under 21”.

Il tutto due giorni dopo il derby primavera tra Inter e Milan, coi nerazzurri eliminati che recriminavano tramite il responsabile del settore giovanile Samaden:
“Mi piace anche sottolineare la scelta della società, da tutti condivisa, di non schierare giocatori della prima squadra (Obi, Coutinho, n.d.r.), cosa che il Milan ha fatto oggi con Strasser (fuoriquota, n.d.r.). Vedere in campo un giocatore del ’90 fa sorridere; noi abbiamo ritenuto che farci mandare altri giocatori, sarebbe stata una mancanza di rispetto nei confronti di quelli che erano in campo oggi”.

Certo, lo scorso anno proprio l’Inter schierò Arnautovic (classe ’89, altro fuoriquota), ma il punto non è questo, lasciamo stare le diatribe tra milanesi. Piuttosto, finalmente i maggiori dirigenti del calcio italiano hanno capito che il sistema giovanile è da rifondare, è questo è un dato positivo. Non è però del tutto chiaro se abbassare l’età della primavera e contestualmente valorizzare ancor di più la nuova rappresentativa giovanile di serie B sia sufficiente. Il rischio è che i giovani calciatori, non ancora pronti (perchè non tutti a 19 anni sono dei fenomeni), si vedano catapultati in una realtà troppo grande, e si perdano calcisticamente, per poi andare a svernare 10 anni, se dice loro bene, tra serie C (pardon, Lega Pro, non sia mai) e serie D.

Misure più stringenti sembrano proprio necessarie: blocco al fenomeno degli stranieri (non extracomunitari, proprio stranieri) nelle primavere, ripristino di un campionato riserve valido, rose delle prime squadre limitate a massimo 25 giocatori con almeno 8 cresciuti nel vivaio di una squadra italiana e massimo 3 extracomunitari (un misto tra Inghilterra e Spagna), grande riforma delle leghe inferiori come Lega Pro e serie D.

Una riforma del calcio giovanile passa soprattutto attraverso la riforma ben più ampia dell’intero movimento calcistico italiano. La speranza è di resistere ababstanza per vederla attuata, prima che la passione di tanti tifosi svanisca definitivamente.

L’immagine in alto, ripresa da wikipedia, è una formazione della Lazio De Martino campione d’Italia 1970-1971. In piedi da sinistra: Andreuzza, Vulpiani, Caroletta, Fiorucci, Perotti e Marchetti; Accosciati: Fortunato, Nanni, Concari, Ronda e Ferioli.

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